Paleontologia sistematica

La specie

La specie, unità evolutiva fondamentale, è la base della sistematica. Nel processo di evoluzione si inquadra il processo di speciazione, ossia di formazione di nuove specie, che è in continuo svolgimento.



Concetto di specie
La specie è l’unità fondamentele più bassa della sistematica ed è l’unico taxon (raggruppamento gerarchico) che possegga dei requisiti di oggettività, cioè di realtà.
Tutti i taxa raggruppamente di rango superiore alla specie (cioè genere, famiglia, ordine ecc.) sono creati teoricamente dall’uomo, quindi convenzionali e soggettivi. La specie in Biologia è costituita da individui che sono in grado di incrociarsi tra loro e avere prole feconda. Venne definita dal biologo Enst Mayr nel 1940 come: insieme di popolazioni effettivamente o potenzialmente capaci di riprodursi per incrocio e riproduttivamente isolate dalle altre polopazioni.
La specie in a livello tassonomico viene definita tramite un unico esemplare tipo che viene detto Olotipo: è praticamente un esemplare - campione "depositato" che costituisce un unico esempio valido per la classificazione (solitamente si tratta del primo che è stato studiato, scoperto, denominato, ecc.).
L’apparteneza alla stessa specie è generalmente attribuita a una popolazione i cui individui sono interfecondi, cioè organismi in grado di incrociarsi tra loro e di trasmettere il prorio patrimonio genetico: vale a dire di produrre prole feconda.
Attualmente la scienza moderna per valutare una specie si avvale anche di tecniche e metodi e molto avanzati, come ad esempio quello del DNA, che un tempo non esisteva. È questa una materia in continua evoluzione.
Ad esempio il mulo (incrocio tra asino e cavalla) è un ibrido sterile a causa del suo corredo cromosomico, il bardotto (incrocio tra stallone e asina) è generalmente infecondo (le femmine possono essere occasionalmente fertili) questi casi non costituiscono delle specie.

Tipologie di specie
Per chi non si interessa di Scienze Naturali è difficile compredere che la specie, pur costituendo l'unità di base di tutte le categorie tassonomiche corrispondendo all'unica suddivisione naturale del mondo organico, presenta diverse tipologie:
   - Biospecie - Specie biologica costituita da popolazioni capaci di riprodursi per incrocio e isolate come riproduzione da altre specie.
   - Morfospecie - Concetto di specie riferito alla pratica paleontologica rappresentato dalla sola morfologia.
   - Cronospecie - Specie proiettata nel tempo, cioè costituita da una successione di popolazioni lungo un’unica linea filetica (antenato - discendenti) con le stesse tendenze adattative.
Dato che in queste pagine si tratta di Paleontologia, l'unica tipologia di specie che ci interessa è solo la morfospecie (o specie paleontologica) in quanto nei resti fossili non si conserva la parte biologia se non in rarissimi casi chiamati "eccezionali".

Dinaminicità della specie
La specie è una entità dinamica (cioè si può modificare nel tempo), ma se ne possono verificare le variazioni solo in tempi lunghissimi (non in una vita umana o a memoria d’uomo). Per valutare l'appertenenza di un vivente ad una determinata specie attualmente ci si basa sia sull’esame del fenotipo (aspetto esterno cioè "estrinsecazione del genotipo"), vale a dire l’insieme degli aspetti anatomici e morfologici visibili che caratterizzano l’individuo, che sull’esame del genotipo (insieme di geni che compongono il DNA).

Il processo evolutivo della speciazione
La trasmissione dei caratteri ereditari, studiata dalla Genetica, è la base per la formazione di nuove specie. La speciazione è un processo evolutivo grazie al quale si formano nuove specie da quelle preesistenti. Il fenomeno opposto è l'estinzione. Questo concetto è stato essenzialmente sviluppato da Ernst Mayr (1904 - 2005) e può ssere definito come "processo evolutivo responsabile della affermazione della biodiversità sul nostro pianeta".

La specie paleontologica
Anche in passato, come anche oggi (si presume), la specie doveva essere definita da una popolazione di individui interfecondi.
In Paleontologia però la definizione biologica di specie che si usa in Biologia non è applicabile. È infatti evidente l’inapplicabilità del concetto biologico nel tempo: il criterio riproduttivo ha senso solo se applicato a popolazioni contemporanee.
Quando ci si riferisce agli esseri viventi attuali si parla così di specie neontologica, cioè la somma del fenotipo che "vediamo" e del genotipo. Nel caso di organismi fossili il discorso è profondamente diveso: per determinare una specie ci si deve affidare solo sulla osservazione delle parti che si sono conservate, come le ossa e i gusci e, più raramente, le impronte delle parti molli: si tratta della specie paleontologica.





La specie paleontologica
Il fenotipo dell'insetto vivo appare con forme e colori che lo rendono inconfondibile anche aprima vista, la libellula fossile (collezioni Del Museo Don Bosco di Valsalice di Torino, per gentile concessione) invece è meno facile da determinare: rappresenta una specie paleontologica dove è visibile solo l'impronta dell'insetto.


Limiti della specie paleontologica
Ad esempio uno scheletro non ci permette di risalire alle le parti anatomiche “molli” interne e nemmeno, logicamente, all’aspetto morfologico esterno (come ad esempio il colore o la presenza di pelo, ecc.) dell'animale a cui appertaneva. Similmente è quello che accade anche quando si esamina un qualsiasi reperto fossile. Le ricostuzioni più o meno fantasiose di paleoart di dinosauri con piume, penne, peli e colori sgargianti che popolano il Web, sono testimonianze della ricerca di un probabile aspetto morfologico di queste creature. Si trata infatti dei limiti che presente la specie paleontologica.




Limiti della specie paleontologica
L'esempio banale della Zebra (Equus zebra) ci permette di capire che dall'esame dello scheletro si è possibile risalire alla specie, ma non ci permette di vissualizzare che la pelle presenta le tipiche striature bianche e nere che la contraddistingue. Questo succede quando ci si riferisce alla specie paleontologica.


L'esempio del Mammut
Un esempio eclatante dei limiti della specie paleontologica è quello della gobba adiposa (riserva di grasso) presente sul capo dei Mammut.
Il mammut lanoso (Mammuthus primigenius Blumenbach, 1799) è una specie estinta di elefante. Visse da 200.000 fino a circa 5.000 anni fa, nel Pleistocene, in Europa, Asia e Nordamerica. Questa specie estremamente adattata al clima gelido delle fasi glaciali del Quaternario, si è evoluta dal precedente mammut delle steppe (Mammuthus trogontherii).
In prossimità delle vertebre cervicali e delle spalle, sopra e dietro il capo, presentava una sorta di "gobba", che fungeva da deposito di grasso adiposo, come avviene analogalmente anche nei cammelli.
L’esistenza del deposito di grasso, come anche la presenza del pelo, è conprovata da molti recenti rinvenimenti di esemplari congelati rinvenuti nel permafrost, il suolo congelato tipico della tundra. Fino all'inizio del Novecento invece non si sapeva dell'esistenza di quello spesso strato adiposo e le numerose rappresentazioni di mammut nelle pitture parietali eseguite dagli uomini primitivi (in cui compariva) erano considerate "fantasiose".





Cacciatori di Mammut
Rappresentazione di cacciatori del Paleolitico che osservano una mandria di mammut. Si vede chiaramente che i proboscidati sono stati rappresentati senza la caratteristica gobba adiposa. Particolaree di una bellissima tavola da La creazione dell’uomo, Henri du Cleuziou & Camille Flammarion (ed. 1935).





La gobba adiposa del Mammut
I nostri antenati, non cosi primitivi come si pensa, dipingevano il Mammut con la gobba adiposa come si vede nella Grotte di Ruffignac (Francia). Negli studi su questo proboscidato dell'Ottocento non si tenne conto di questi disegni dove veniva rappresentato come un elefante attuale dotato di lunghi peli, come si vede da una tavola da Il mondo prima della creazione dell’uomo, Camille Flammarion (ed. 1893).